Le Casse di Previdenza, il Principe Giovanni e la favola dell’autonomia

Le Casse di Previdenza, il Principe Giovanni e la favola dell’autonomia

Credo di poter dire senza ombra di smentite che tutti noi saremmo alquanto irritati, per usare un eufemismo, se un bel giorno qualcuno ci imponesse di tagliare le spese della nostra famiglia perché tale risparmio sia versato nelle casse dello Stato.

Ebbene, alle Casse di Previdenza è stato chiesto proprio questo.

Si badi bene non è stato chiesto di risparmiare per mettere a disposizione delle future pensioni o dell’assistenza quanto tagliato dai consumi intermedi, perché fin lì sarebbe stata anche una richiesta con nobili fini, bensì è stato chiesto di versare allo Stato quanto risparmiato; qualcuno direbbe che stando così le cose possiamo tranquillamente parlare di una nuova imposta.

L’impressione che se ne trae è che il ‘Principe Giovanni’ non vive solo nella leggenda di Robin Hood ma è vivo e vegeto e continua a fare danni in mezzo a noi.

Quanto raccontato è esattamente quello che è successo con Legge 135/2012 (c.d. spending review) il cui comma 3 dell’art. 8 (Riduzione della spesa degli enti pubblici non territoriali) prescrive alle Casse di previdenza - in quanto “enti (…) come individuati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n. 196” - di versare alla Tesoreria dello Stato quanto risparmiato tagliando i consumi intermedi nella misura del 5% per il 2012 e del 10% per il 2013.

Ma le Casse di Previdenza dei liberi professionisti per gli effetti del D.Lgs. 509/1994 sono soggetti privati per legge e tenuti alla autosufficienza in quanto non possono godere di alcun finanziamento pubblico sorreggendosi solo sui contributi degli iscritti e sui rendimenti degli investimenti effettuati, e quindi non sarebbero dovute essere incise da tale ‘balzello’.

Abbiamo imparato a nostre spese che all’occorrenza, allorquando le finanze dello Stato lo richiedono come in questo periodo, le Casse, per un misterioso artificio, diventano “amministrazioni pubbliche” per il tramite dell’ISTAT che le ha comprese nel famoso elenco delle Amministrazioni Pubbliche inserite nel conto economico consolidato e individuate ai sensi dell’art. 1, comma 3, L. 31 dicembre 2009 n. 196.

Già in passato è stato affermato che le Casse private non partecipano in alcun modo alla “spesa pubblica” (vedi Corte dei Conti, sez. contr. Enti, 2.2.95 n. 58/94).

Già in passato le Casse private avevano impugnato un analogo Elenco ISTAT ed avevano avuto ragione (Tar Lazio- Roma n. 1938/2008) ma poi la sentenza venne sospesa dal Consiglio di Stato (n. 3695/2008) ravvisando i giudici un fumus e un’assenza di periculum per le Casse.

Con l’Elenco ISTAT 2011 il fenomeno si è ripetuto (vedi G.U. 30 settembre 2011 n. 228). Il Tar Lazio ha dato ragione alle Casse, bocciando la tesi dell’Istat, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dell’economia e delle finanze, rimarcando come le Casse non possano essere considerate soggette a “controllo pubblico” in quanto “non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio delle ricorrenti atteso che a questo fine esse sono già state fornite dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma.” (Tar Lazio-Roma n. 224/2012). Purtroppo però il Consiglio di Stato ha dapprima sospeso la sentenza del TAR e poi bocciato la tesi delle Casse confermando l’inserimento nel famigerato Elenco ISTAT e legittimando di conseguenza il prelievo forzoso da spending review.

Il sospetto, e forse qualcosa più di un sospetto, è che il controverso legislatore di oggi stia tentando di svuotare tale riconoscimento di soggetto privato assegnato dal legislatore del 1994, non intervenendo direttamente sulla fonte ma con norme trasversali.

In sintesi si sta tentando di “pubblicizzare” le Casse senza dichiararlo apertamente ma soprattutto senza riprendersi indietro il vero bubbone rappresentato dal debito latente riveniente dalla gestione delle vecchie posizioni previdenziali in essere al momento della privatizzazione, posizioni totalmente in deficit. Deficit di cui si è fatto carico la Cassa e per essa principalmente le coorti più giovani.

Ma il ‘Principe Giovanni’ sappiamo bene che non si è limitato solo a prelievo da spending review.

Il Principe Giovanni ci ha imposto anche:

  • la riduzione dei canoni di locazione pagati dalla Pubblica Amministrazione del 15% (art.8, c.6, D.L. 78/2010);
  • l’incremento della aliquota al 20% per la tassazione sulle plusvalenze mobiliari in luogo di quella dell’11% applicata al settore della previdenza complementare (art.2, c.6, D.L. 138/2011);
  • l’incremento dell’imposizione per l’IMU e per i bolli;
  • la doppia tassazione che colpisce prima i rendimenti degli investimenti nel momento in cui maturano e poi nuovamente al momento del pagamento della rendita previdenziale;
  • e infine sembrerebbe obbligare le Casse a una svendita di alcuni degli immobili a prezzi particolarmente svantaggiosi - non più di 150 volte il canone di affitto mensile pagato -, con fare dal sapore vagamente pre-elettorale.

L’art. 2 del D.Lgs. 509/94, dispone, invero, che gli enti privatizzati, abbiano “autonomia gestionale, organizzativa e contabile” e debbano, con tale gestione, “assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico”.

Come tutto quanto sopra detto possa conciliarsi con l’obbligo, di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 509/94, di equilibrio di bilancio nonché con la novella richiesta di sostenibilità dei conti non più a 30 bensì a 50 anni, rimane un bel mistero.

La misura è colma. Credo che lo Stato sia andato ben oltre quel potere/dovere di vigilanza di cui parlava il legislatore del ’94. Si ritiene che con questi provvedimenti si sia minata ovvero fortemente limitata l’autonomia stessa delle Casse assegnata dalla Legge.

Occorre chiedere a gran voce al nuovo Parlamento, al nuovo Governo, regole chiare perché una volta per tutte ciò che è privato sia trattato come privato e ciò che è pubblico sia trattato come pubblico. Occorre chiedere che si chiarisca definitivamente il concetto di Autonomia delle Casse stabilito dal legislatore del 1994.

Ferdinando Boccia - Dottore Commercialista in Bari e Delegato CNPADC

(articolo pubblicato su CNPADCnews, pag.8, n.1-2013, del 18.3.2013)

 

Allegato Allegato: CNPADC newsletter 1-2013